ESTINZIONE DEL REATO - MESSA ALLA PROVA

 

Le cause di estinzione del reato si verificano quando la fattispecie penale è già configurata secondo il modello legale ma un evento specifico incide sulla punibilità del soggetto, escludendo la potestà punitiva statale: si distinguono in generali, riferibili a qualsiasi reato, e speciali, previste in relazione a singole fattispecie criminose.

Le cause di estinzione del reato generali sono: la morte del reo; l’amnistia; la remissione della querela; la prescrizione del reato; l’oblazione nelle contravvenzioni; il decorso del tempo previsto a seguito di sospensione condizionale della pena; l’esito positivo della messa alla prova; il perdono giudiziale per i minorenni; le condotte riparatorie. Esse, devono essere dichiarate dal giudice immediatamente in ogni stato e grado del procedimento, a meno che non risulti evidente il proscioglimento nel merito.

In particolare, l’istituto della messa alla prova è stato mutuato dal processo penale minorile, nel quale ai sensi dell’art. 28 dpr 448/88 il giudice può disporre la sospensione del processo al fine di affidare il minorenne ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia per lo svolgimento di un programma di rieducazione e socializzazione, all’esito del quale, in caso di svolgimento positivo, il reato viene dichiarato estinto.

Nel processo ordinario, con la l. 67/2014, proprio al fine di introdurre il medesimo istituto sono stati inseriti gli artt. 168 bis, 168 ter e 168 quater nel codice penale e il Titolo V bis (artt. 464 bis e ss.) nel codice di rito. Secondo tali disposizioni, sotto la supervisione dell’ufficio dell’esecuzione penale esterna, l’imputato può chiedere la sospensione del procedimento a suo carico, al fine di compiere un programma di trattamento che prevede l’esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. Occorre ricordare che il lavoro di pubblica utilità si può svolgere per un minimo di 10 giorni, anche non continuativi e non può superare le otto ore giornaliere. L’istituto prevede, inoltre, che l’imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato. L'esito positivo della prova comporta l'estinzione del reato.

Giova rammentare che vi sono dei requisiti oggettivi da rispettare per ricorrere all’istituto in parola: in particolare l’art. 168 bis c.p. prevede che la richiesta può essere avanzata solo nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell'articolo 550. Inoltre, la sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato può essere concessa una sola volta; essa può tuttavia essere concessa una seconda volta in relazione ai reati commessi anteriormente al primo provvedimento di sospensione. Essa non può esser concessa qualora il richiedente non sia stato dichiarato delinquente professionale, abituale o per tendenza.

Il d.lgs. n. 150/2022, cd. riforma Cartabia ha esteso a molti reati, nell'ottica deflattiva che la riforma ha attuato, la possibilità di beneficiare della cd. messa alla prova: è stato, infatti, esteso il catalogo dei reati per i quali esso può essere ammesso. Il nuovoart. 168-bis c.p. prevede che la messa alla prova possa essere richiesta non solo per i reati puniti entro il massimo edittale di quattro anni di pena detentiva (termine immutato) ma anche “per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale”, oggetto, anch’esso di un’ampia modifica. Si tratta di un’opzione che si accompagna al nuovo art. 464-ter.1 c.p.p. il quale dispone che “Il pubblico ministero, con l’avviso previsto dall’articolo 415-bis c.p.p., può proporre alla persona sottoposta ad indagini la sospensione del procedimento con messa alla prova, indicando la durata e i contenuti essenziali del programma trattamentale […] entro il termine di venti giorni, la persona sottoposta ad indagini può aderire alla proposta con dichiarazione resa personalmente o a mezzo di procuratore speciale, depositata presso la segreteria del pubblico ministero”.

Per quanto concerne l’applicabilità della procedura in esame ai reati commessi prime dell’entrata in vigore della legge, anche alla luce di una norma transitoria, si evidenzia che l’istituto ha una natura eminentemente processuale, sicché – per il principio tempus regit actum – è esclusa l’applicabilità ai processi pendenti dove sia già decorso il termine ex art. 464bis comma 2 c.p.p.

L’art. 464bis c.p. dispone che la richiesta può essere avanzata “fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422 o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio. Se è stato notificato il decreto di giudizio immediato, la richiesta è formulata entro il termine e con le forme stabiliti dall'articolo 458, comma 1. Nel procedimento per decreto, la richiesta è presentata con l'atto di opposizione – la relativa richiesta, se rispetta i requisiti oggettivi e soggettivi, potrà essere avanzata.

Infine, con riferimento alle contestazioni d. lgs. 231/2001, sono recentemente intervenute le Sezioni Unite, le quali hanno affermato che l’istituto dell’ammissione alla prova non trova applicazione con riferimento alla disciplina della responsabilità amministrativa dipendente da reato degli enti ex d.lgs. n. 231 del 2001. Ciò sulla base delle considerazioni secondo cui, la disciplina introdotta dalla l. 67/2014 ha volutamente lasciato fuori dall’assetto normativo l’applicabilità al dlg. 231/2001 in quanto norma di natura amministrativa – che prevede sanzioni di carattere amministrativo e non penale - che non consente l’applicabilità di istituti giuridici specificamente previsti per le sanzioni di natura penale. Ad ogni modo, a prescindere dal dibattito sorto sulla natura della sanzione – penale o amministrativa – pare che l’interpretazione unanime sulla inapplicabilità dell’istituto della messa alla prova, sia frutto di una concezione differente della punibilità degli enti, che la rende non compatibile con quella disciplinata dalla l. 67/2014.